esso e di esso, e s’ei s’addomanda qualcosa; egli dee partecipare del quello, e del qualche cosa, e del questo, e a questo, e di questi, e tutto altro siffatto. Dirittamente. Pertanto, l’uno è impossibile sia, se non è; ma nulla poi toglie ch’esso partecipi di molte cose, anzi è necessario, se l’uno appunto, e non già altro, è quello che non è. Avvegnaché, se l’uno non è appunto egli quello che non è, ma altro s’intenda, non puoi tu più profferire parola. Se poi l’uno appunto e non altro è quello che si suppone non essere, egli ha a partecipare del quello, e altre molte cose. Senza dubbio. E dunque egli ha ancora dissomiglianza alle altre cose; perciocchè se queste sono diverse da lui, gli sono istranie e pertanto differenti, e pertanto anco dissimili. Come no? Ma se esse sono dissimili all’uno, è manifesto che a un dissimile sono dissimili? Manifesto. Adunque nell’uno è pure dissimiglianza, secondo la quale le altre cose gli son dissimili. Par chiaro. E se nell’uno è dissimiglianza alle altre cose, non è pure mestieri sia in esso somiglianza di sè? Come? Se dissimiglianza d’uno fosse nell’uno, per certo non si farebbe sermone sovra di esso, nè l’ipotesi saria sovra di esso, ma sovra altro. Indubitabilmente. Ora ciò non dev’essere. No. Dunque nell’uno deve essere somiglianza di sè medesimo. Si. Ma nemmanco egli è uguale alle altre cose; laddove fosse, saria simile a quelle per la uguaglianza; cose tutt’a due impossibili, se non è l’uno. Impossibili. E stantechè l’uno non è uguale alle altre cose, queste non è mestieri che neppure siano uguali a quello? È mestieri. Le cose