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perfettissima, nè la signoria di lui noi signoreggerebbe, nè la scienza di lui conoscerebbe noi, nè le cose nostre. Ma come noi non possiamo imperiar su gl’Iddii co’ la nostra potenza, nè conoscer di loro co’ la nostra scienza; medesimamente gl’Iddii, per la ragione detta, nè sariano nostri signori, nè conoscerebbero nulla delle faccende degli uomini, comechè siano Iddii. Ma bada ei non sia assai strano parlare, se uomo privi Iddio di scienza. E pur queste cose ne vengono, ed altre molte, o Socrate, laddove le spezie sian le idee di per sè delle cose, e si piglino a deffinire singolarmente: inguisachè, chi ode istarà perplesso, e disputerà non ci siano, affatto spezie; o, al più, se ci siano, elleno abbiano a esser necessariamente celate alla umana natura. E così opinando, estimerà dire qualcosa: e, come ti ho detto, è supremamente difficile trarlo in contraria sentenza. Conciossiachè sia mestieri di uomo ingegnosissimo a intender come vi abbia d’ogni cosa un genere e una essenza di per sè, e di più meraviglioso, a trovargli e saper dichiararli a altrui sofficientemente. Consento con te, o Parmenide, imperocché tu di’ intutto secondo mia mente. Tuttavolta, o Socrate, se uomo non lascerà esser per ciascuna cosa alcuna spezie sempre invariabile, non si avrà ove volger lo intelletto, e così avrà distrutta la facoltà di ragionare: e ciò mi par che tu abbia più avvertito.

Che dunque farai intorno alla filosofia? e dove ti volgerai tu, non sapendo cotali cose? Ora io non veggo. E Parmenide a lui: Egli è perciocchè