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larghi ragionamenti: ciò nonostante, ei non sen persuaderebbe mai. Perchè, o Parmenide? Perchè, o Socrate, credo io che tu e chiunque ponete di per sè le essenze delle cose, acconsentite imprima ch’elle non siano in noi. Chè, come potrebbero esser tuttavia di per sè? disse Socrate. Ed egli: Bellamente dici: E, per questo, tutte le idee le quali in quanto si referiscono iscambievolmente sono quel che sono, elleno hanno la essenza a sè, e non in riguardo alle cose le quali son d’intorno a noi, dimandale simolacri, o come vuoi, delle quali noi partecipiamo e pigliamo singolari nomi; e i simolacri, che hanno il medesimo nome con le spezie, ancora sono a sè, e independenti da quelle. E Socrate: Come di’ tu? E Parmenide: eccoti: ponghiamo esempio alcun di noi fusse padrone o vero servo, il servo, non sarebbe servo dell’idea padronanza di per sè: nè il padrone, dell’idea servitù di per sè sarebbe padrone; ma ciascuno, com’è uomo, così sarebb’egli servo o padrone, anco di uomo. E, medesimamente, l’idea padronanza di per sè, è quello ch’è, in risguardo all’idea servirtù di per sè; e viceversa, l’idea servitù è quello ch’è, in risguardo all’idea padronanza. E nè ciò ch’è in noi, ha potenza verso le spezie: nè ciò ch’è in quelle ha potenza verso di noi; ma, come dico io, e le spezie si referiscono a sè medesime, e sono independenti: e le cose le quali sono appo noi, si referiscono puro a sè somigliantemente: o non mi intendi tu? Ti intendo. Or via, seguitò Parmenide, quello ch’è scienza di per sè, non è scienza di quello ch’è