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pare massimamente: queste spezie stiano nella natura com’esemplari, e le cose si somiglino a esse, e siano lor simolacri; e la partecipazione delle cose alle spezie, non altro sia, che questa assimiglianza. E Parmenide a lui: Via, se cosa è simolacro della spezie, può la spezie non essergli simile, per quanto esso le si è assomigliato? No. E c’è modo, per lo quale il simile non sia simile al simile? No. E il simile, con il simile, non dee communicare co’ una stessa spezie? Certamente. E ciò, con cui i simili communicando, son simili, non è questa spezie medesima? Perappunto. Ondechè, non è possibile cosa sia simile alla spezie, nè la spezie a cosa; altramenti, di sovra alla spezie lucerebbe sempre un’altra spezie; e s’ella fosse simile a alcuna cosa, ne lucerebbe novamente un’altra: e, così, senza posa mai, ognivolta la spezie fusse simile alla cosa participante di lei. Pertanto le cose non partecipano delle spezie, per simiglianza; e s’ha a cercar per qualche altro modo di communione. S’ha a cercare. Vedi adunque, o Socrate, quanta è la difficoltà, se persona deffinisca le spezie come enti di per sè? La veggo io. E vo’ che sappi, che, com’a dire, tu anco non intendi quante sien le difficoltà, se poni spezie per quanti enti discerni. Quali sono? Molte e diverse, ma la principale si è: ponghiamo alcuno dicesse le spezie non esser conoscibili, sendo tali, quali affermiamo noi dover essere; uomo al mondo non potrebbegli provar ch’ei s’inganni, se non fosse quegli letterato molto, e d’ingegno destro, e pronto di tenegli dietro per alti e