Pagina:Acri - Volgarizzamenti da Platone.djvu/156

152

corpo, posero in mezzo al diaframma ed all’ombilico, avendo fabbricato in tutto questo luogo come una mangiatoia per lo nutrimento del corpo. La legarono quivi come bestia salvatica, ch’essendo tuttavia congiunta intimamente a noi, s’aveva da nutrire se dovea mai nascere la generazione mortale. E le assegnarono codesto luogo, lungi quanto poteva dall’anima provvedente, acciocchè, pascendosi sempre alla mangiatoia, facesse a lei il manco che si può rumore e schiamazzo, e così lasciasse a lei, ch’è la parte più buona, pigliare serenamente consigliò intorno a quello che giovi in comune a tutte le parti. Ma gl’iddii la veggono ch’è fatta tale, che non intende ragione, e che non si cura di ragioni, ponghiamo che riceva pure alcune sensazioni di esse (nelle quali esse si adombrino), e che si lascia soltanto tirare da simulacri e fantasmi, notte e giorno. Iddio pensando a questo fabbrica il fegato, e lo pone nell’abitazione di lei, ingegnosamente formandolo spesso e polito e lucido, dolce e anco con amarore; acciocchè la potenza dei pensieri che si muove dalla mente, riflessa li come in ispecchio. il quale riceve le parvenze e rende al viso le immagini, le dia paura ovvero l’ammansisca. Le dà paura, quando ella appressandosi rigida e minacciante, usando l’amarore ch’è nel fegato, lo rimescola finamente per tutto esso e mostra i colori della bile, e costrignendolo lo fa tutto aspro e rugoso; e quando insieme storcendo il (gran) lobo dalla sua diritta postura e strignendolo, ed assiepando e chiudendo i recettacoli (c’è il serbatoio del fiele co’ suoi canali) e le porte (c’è la vena