Pagina:Acri - Volgarizzamenti da Platone.djvu/151


147

della vista) son insensibili, e le addimandiamo diafane: quanto, alle maggiori e alle minori, di chi le prime congregano la vista e le seconde la discettano, esse fanno impressione somigliante a quella che le cose calde e fredde fanno alla carne, ed a quella che fanno alla lingua le cose acerbe, e a tutte quelle alle quali perciò che scaldano venne assegnato il nome di acri. Di fatto, la impressione che fanno alla vista è il bianco e il nero, ed è la medesima di quella che fanno le cose prementovate, la quale perciocchè si fa in un altro genere d’organi pare essere diversa. Adunque bisogna designare cosi: il bianco è ciò che discetta la vista, il contrario suo, è il nero. Quando fuoco di genere diverso (cioè emanante d’un altro corpo) con moto più violento scontra il fuoco: della vista e lo discetta infino dentro negli occhi, e ne disserra e liquefa gli usci, fa che di li scorghi fuoco ed acqua abbondante, che chiamiamo lagrima, la quale non è pure essa che un fuoco (cioè a dire il fuoco della vista misto all’umore dell’occhio) che scorre da entro incontro all’altro fuoco di fuori: ed allora, mentre il fuoco interno guizza come da lampo e il fuoco di fuori, entrando, muore nell’umore, si generano da cotesto rimescolamento tutte le spezie di colori. Noi abbiamo chiamato cotesta impressione, abbarbaglio; e quello che la fa, risplendente e corrusco. Il genere di fuoco che tiene il mezzo rispetto al detto, che giugnendo nell’umore degli occhi si mesce con esso, ma senza raggiare e la cui vivezza per