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fuori si mischiano intimamente e s’imparentano; e si fanno un corpo, secondo la direzion dell’occhio, e proprio li dove il primo s’abbatte e intoppa nell’altro. Questo corpo per la omogeneità e simiglianza delle partì sue s’impressiona tutto simigliantemente, e trasfonde i moti dei corpi, ch’esso tocca, o da cui è toccato, in tutt’il corpo fin all’anima, e genera quel senso per cui noi diciamo di vedere. Ma quando il fuoco del giorno, il parente suo, se ne va via nella notte, allora il ruscello della luce degli occhi è scisso, poichè uscendo fuori per entro un dissimile s’altera pur esso e spegne, non più avendo parentela con l’aria circostante, che non ha fuoco. Allora cessa di vedere, ed eziandio conduce il sonno. In fatti, quando si chiudono le palpebre che gli Dei formarono con industria per salvamento della vista, esse interchiudono la potenza del fuoco degli occhi, il quale dispande e uguaglia i moti interiori; e, uguagliati, nasce quiete; e se la quiete è molta, cala giù un sonno con lievi sogni; e se rimangono dei moti più vivaci, secondo, il lor modo e secondo i luoghi (del corpo) dove son rimasti, suscitano fantasmi, simiglianti a cose di dentro o di fuori che quando siamo desti si girano per la mente. Ancora la nascita delle immagini negli specchi, e generalmente nei corpi puliti e lucidi, non è punto una cosa difficile a spiegare; conciossiachè si fanno di necessità dalla communione del lume interiore (della vista) e quello esteriore (raggiato dall’obbietto), e dell’unione di essi sovr’alla superficie dello specchio in un solo corpo, il qual viene rimutato in molte guise: poni esempio che uomo