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tasse il minimo necessario a soddisfare le sue più imperiose necessità, far dare il massimo di produttività, e lo si poteva rimpiazzare senza perdita tosto che fosse esaurito o anche semplicemente indebolito piuttosto che lo schiavo il quale doveva essere mantenuto e nutrito, e la cui morte o malattia rappresentava sempre una perdita netta non fosse che quella sola del prezzo al quale era stato comprato, o di quello necessario a comperarne il sostitutore.

Il Nord, dunque, non sentiva la necessità degli schiavi e gli abolizionisti che non erano tali per sentimento di giustizia e di umanità, lo erano per un semplice calcolo di interesse.

Nel Sud la questione economica si presentava schiettamente diversa.

Là non grandi agglomerazioni di abitanti in città piovre, non fabbriche enormi, non produzione la cui potenzialità poteva essere artatamente forzata. Il prodotto della terra ha le sue stagioni e dà quel proporzionato tanto e non più.

Il Sud agricolo, dai vasti latifondi coltivati a cotone, a canna di zucchero, a tabacco, esuberantemente popolato di bianchi, costretto a vivere del prodotto della terra, era più povero; e lo schiavo necessitava alla durezza d’un lavoro redditizio soltanto a condizione di non pagare o di pagare irrisoriamente la mano d’opera.

Il contrasto d’una ricchezza che si sviluppava fiorente, e d’una povertà che prevedeva di diventare anche più povera, alimentavano la lotta: questa preoccupazione economica era negli sforzi,

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