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tadinanza, venisse concesso al medico giudeo Aron di esercitare la professione, in cui da due anni mostrava tanta dottrina e sapienza con beneficio di tutti i genovesi, e che ora una generale proibizione ecclesiastica veniva a impedire. Un altro giudeo, «fisico di buoni costumi e medico lodato», presentava con vive raccomandazioni Agostino Adorno al Marchese di Mantova, con una lettera in data 2 ottobre 14951. Né l’ambiente culturale era cosí modesto e oscuro come si potrebbe credere: Genova aveva partecipato agli interessi filosofici dell’Umanesimo con Battista e Antonio Fregoso, con Pietro e Bartolomeo Gentile Fallamonica, il quale proprio in quegli anni stava esponendo nei suoi Canti l’intero sistema lulliano; e nella biblioteca del grande annalista Agostino Giustiniani, vescovo di Nebbio, abbondavano i testi manoscritti dei filosofi greci, arabi, ebrei2.
A Genova, riuscito finalmente a godere di un periodo di profonda quiete, Leone pose mano ai Dialoghi d’Amore: e qui, come vedremo meglio fra poco, dovette stendere almeno le prime due parti dell’opera, che per la minore ampiezza del disegno si distinguono notevolmente dalla terza. Forse qui anche attese a ultimare l’altra sua opera, rimasta inedita e poi perduta, De coeli armonia. Ma nel 1501, dopo sei anni di vita solitaria e raccolta, Leone era chiamato di nuovo nel periglioso mare delle corti. Federico d’Aragona, recuperato da tre anni e ormai rassodato il trono avito, cercava di ricostituirsi intorno anche il vecchio ambiente di devoti alla causa aragonese: e voleva a Napoli gli Abarbanel. Sicché scriveva da Napoli in Castelnuovo, al 10 di maggio 1501, al capitano e alla comunitá di Barletta3.
Magnifici nobilis et egregii viri fideles nostri dilecti:
- ↑ R. Archivio di Stato in Genova, Litterarum, reg. 36 e 37.
- ↑ Cfr. Caramella, Bartolomeo Gentile Fallamonica (Contributo alla storia del Lullismo nei primordi del Cinquecento), nella miscell. «Dante e la Liguria» (Milano, Treves, 1924), pp. 127-176.
- ↑ Riprodotto in Pflaum, op. cit., p. 147, dal R. Arch. di Stato in Napoli, Cancelleria aragonese, Collaterale commune, voi. 18, f. 143 v.