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38 Capitolo terzo.

passi davanti a noi, dove centinaia di scimmie se ne stavano bevendo attorno ad un pozzo e furono disturbate dal nostro apparire. Fu un fuggi fuggi generale, le più grandi stringendo al seno o caricando sulle spalle le piccine, tutte saltando e arrampicandosi sulle rocce laterali, poi disponendosi sull’estremo ciglio quasi a darsi spettacolo del nostro passaggio: fra noi e loro non saprei davvero chi fu il più divertito.

Dopo qualche ora usciamo in un vasto altipiano, e ci andiamo a fermare verso il mezzogiorno all’ombra di un grosso albero, poco lontano dal quale i nostri fucili ci procurarono qualche faraona pel pranzo. Circa tre ore di sosta, poi nuovamente in cammino: incontriamo una carovana che porta dei prigionieri a Massaua: sono quattro che alternativamente camminano a piedi o salgono due camelli: quelli che stanno a camello sono incatenati alle mani ed ai piedi, quelli che camminano ci destano un vero senso d’orrore: un grosso ramo d’albero lungo circa due metri e terminato a forcella racchiude con questa il collo del condannato e ve lo stringe dietro con intreccio di corde: all’altra estremità è legato alla sella del camello. Nei viaggi in Africa che ho letti, ho visto questo genere di supplizio usato come mezzo di trasporto o meglio di punizione per gli schiavi, e m’aveva inorridito: non mi sarei mai aspettato di vederlo ufficialmente usato da una potenza che la pretende a civiltà, quale l’Egitto. Sapere poi come questi disgraziati sono trattati, per quanto colpevoli, è meglio non ripeterlo, per rispetto a qualsiasi principio di umanità.

Le montagne si vanno facendo più alte, i boabab e le euforbie più numerosi, grossissimi i primi, alte le seconde. Verso le cinque, poco lontano da una stazione di soldati, vediamo nel fondo della valle un recinto con tracce di coltivazione e qualche capanna: è l’abitazione di due francesi che vi stanno tentando una speculazione, di cavare cioè del filo dalle foglie di cespugli