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Capitolo secondo. 29

città e decorandole con trofei delle nostre armi e componendo di facciata all’entrata un artistico gruppo di due ritratti del nostro Re e della nostra Regina circondati da una bandiera tricolore. Alle finestre si appesero dei lampioncini e al centro un lampadario che la nostra immaginazione ci ajutò a comporre con traverse di legno che sostenevano delle bottiglie vuote destinate a portare le candele. Unimmo tre tavole che resero presso a poco di eguale grandezza alcuni pezzi di nostre casse aggiuntivi; coprimmo il tutto con due lenzuola di bucato, preparammo i coperti con posate che la ruggine faceva parere passabilmente uguali: nel centro una piramide di amaretti di Saronno, ai lati due ceste di banane giunte la mattina da Hodeida; sui davanzali delle finestre dei gruppi di eleganti bottiglie di liquori che qualche amico di buon cuore o qualche fabbricante illuso ci avevano date a compagne: sulla scala qualche altro lampioncino: nell’insieme un apparato fantastico e sfarzoso pel paese in cui siamo.

Due o tre giorni lavorarono fantasia e braccia per comporre il menu e prepararlo coi pochi mezzi che si avevano, dove non si può trovare che pura carne e qualche pesce; ma l’abilità del capo-cuoco, il Filippini, seppe disimpegnarsi discretamente.

All’imbrunire del giorno fissato arriva la processione degli invitati che si ricevono in corte, mentre si corre a dar fuoco alle candele, poi si dà il segnale perchè la comitiva salga. Nella prima camera il Tagliabue aveva disegnato a carbone un medaglione con un immaginario re Giovanni, riconoscibile dall’iscrizione, che diede origine ai primi atti di stupore, che furono poi innumerevoli, quando sollevate le cortine si presentò la gran scena della sala del banchetto. L’arte culinaria del nostro compagno fu molto lodata, e i fatti constatarono che lo fu sinceramente e non per puro complimento: i vini d’Italia trovati