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22 Capitolo secondo.

intende offrirci. Avanziamo di pochi passi, ed avremo il macellajo, che non ha bottega, ma ammazza in pubblico il suo bue, leva la pelle che distesa al suolo diventa tavola, e su questa, colle mani, le braccia, e quella poca camicia tutte rosse di sangue, divide in pezzi la sua vittima a seconda delle richieste, misurandone le parti su una bilancia delle più primitive, che fra l’altre cose i pesi son pietre: rimpetto abbiamo un arabo che vende focacce, e a pochi passi una di quelle botteghe come alle volte si vedono alle nostre fiere, che non hanno nulla di intatto, tutto vi è scompagnato e rotto; non vi si vede oggetto che sembri possa servire, ma pure trovano i loro amatori. Qui vedete qualche panierino colla sostanza che serve a tingere in rosso le unghie, o la galena per tingere l’occhio, qualche droga, poi un’infinità di cianciafruscole cui non si sa adattare nè un uso nè un nome. Siamo sbalorditi da tutta questa novità e dal baccano che rammenta certe viuzze di Napoli; ci ritiriamo per evitare un somaro carico di pelli piene d’acqua e ci sentiamo nella schiena qualcosa di tenero, è un otre colmo di burro fuso portato da una vecchierella, accompagnata da qualche ragazzetto in costume prettamente adamitico, che ci rivolge lo sguardo intelligente che dinota timore o sorpresa: vorremmo accarezzarlo se fosse un po’ meno sucido, non possiamo però trattenerci dal mettergli nelle manine qualche piastra.

Usciti da questi bazar ci troviamo in una piazza dove è il caffè, logora tettoia di paglia sotto la quale si radunano le poche persone trattabili che qui abitano, e vi passano delle ore intiere sorbendo caffè alla turca è fumando sigarette o narghillè: da qui proseguendo, abbiamo qualche abitazione ancora in pietra ove stanno alcuni greci che nelle loro botteghe tengono di tutto, dalle sardine alle scarpe; il vice-consolato di Francia che occupa una delle più belle case, e una massa di capanne rettangolari ove abitano gli indigeni sempre poveri, ed una massa di