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236 Capitolo dodicesimo.

non trovano nulla a mangiare, mentre il bue s’accontenta di qualunque cosa e resiste assai più al digiuno. Torniamo dunque agli antichi amori delle questioni per il prezzo e il peso delle casse, e finalmente si riesce di combinare. Un saluto da qui all’Abissinia, chè questo è l’ultimo villaggio prettamente abissinese che incontriamo: da qui innanzi entriamo nei territori degli Sciohos, le tribù indipendenti che ci dipingono come ladre, alle quali però aspetto di accollare questo epiteto, per accertarmi se realmente se lo meritano.

Continuando direttamente a nord, il giorno appresso attraversiamo la pianura sparsa ovunque di ossa degli Egiziani che vi furono massacrati. Le piogge, trascinandole colla loro veemenza, ne radunarono qualche volta delle vere masse nei punti più depressi o nei letti dei torrenti, dove ad alleviare il triste senso che producono quei miserabili avanzi umani, sorge il pensiero che almeno natura li radunò per l’eterno riposo, mentre la malvagità degli uomini li lasciava sparsi a scherno e trastullo dei passanti.

All’estremo nord dell’altipiano si eleva un vasto cono isolato che sta come a sentinella dell’immensa vallata, che dietro lui si distende, e determina quasi il confine geologico di quello che si può propriamente chiamare altipiano etiopico. È questa l’altura che avevano occupata gli Egiziani durante la guerra, fortificandone tutto il versante che guarda Gura con trincee armate, e coronandone la vetta con un bellissimo forte a casematte, fosse, polveriere, scavate nella nuda roccia, e fornito di batterie terribili d’acciaio. E gli Abissinesi hanno avuto l’ardire di darvi l’assalto colle lance e le spade!...

Da qui, seguendo una strada tracciata dagli Egiziani per portarvi i cannoni, ma che è tutta lasciata andare in rovina, discendiamo fino al villaggio di Kaiakor, a 1880 metri, che troviamo quasi spopolato, perchè gli abitanti saputo dell’avvicinarsi