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Capitolo undicesimo. 221

cosa daressimo, ma tanto non ce n’è, dunque allegri, che anche questa sarà da ricordare, e avanti. Il morale agisce sul fisico, dunque se la forza manca, perchè la macchina non è alimentata, cerchiamo almeno di non deprimerla ancor più col perderci d’animo.

Si ride dell’avventura, si siede ad ogni passo, si spera per la sera, e intanto s’arriva a 1700 metri, dove si trova un piccolo villaggio. L’accoglienza non è delle più festose, chè ci vuole il poco fiato che ci resta a far capire che pagheremo, ma vogliamo un montone. A notte fatta finalmente ce lo portano, e senza tanti rispetti all’arte culinaria ce lo divoriamo.

Ci è forza la mattina dopo salire ancora fino a 2200 metri per seguitare poi su un altipiano che conduce ad alcune cime, sulla costa delle quali prosegue il sentiero. Dietro noi la distesa dei monti che veniamo di attraversare, alla nostra destra altra distesa che si protende in direzione sud-est, e avanti a noi riconosciamo dei vecchi amici nei caratteristici profili dei monti di Adua. Un’ora prima del tramonto lasciamo il sentiero per discendere in un vallone circondato da pareti rocciose, quasi a picco, al fondo del quale vediamo buon pascolo e un villaggio. Ci vien negata ospitalità, se non vogliamo dividerci ed essere ricoverati ognuno in diversa abitazione, ciò che rifiutiamo e passiamo piuttosto la notte coperti dalle fronde di una acacia.

Si continua da qui per vasti altipiani spesso fessi da larghi valloni che, come già dissi, ricordano i crepacci da ghiacciai, e che obbligano alle volte a lunghe deviazioni per evitarli. Un torrente, guadabile pochi minuti prima, come ce lo provano dei boricchi carichi che incontrammo e che venivano d’attraversarlo, scende tanto gonfio e impetuoso per piogge improvvisamente cadute alla montagna, che ci è forza aspettare più d’un’ora prima che le acque si calmino e vi si possa azzardare.

Il soldato che ci fu dato come guida è dei più sucidi che si