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208 Capitolo undicesimo.

preci di mia madre avevano infatti un eco in questi cuori da belve, e Ferrari fu solo primo ad essere incatenato. Come la catena deve serrare al polso, l’ultimo anello è più largo e aperto per farvi entrare il braccio, che poi si appoggia ad una pietra qualunque, mentre con un’altra picchiando or su un estremo or sull’altro dell’anello, lo si chiude tanto che serri e non possa sortirne la mano. Per questa operazione Ferrari erasi dovuto inginocchiare, anzi dopo quasi sdrajare a terra. Lo stesso fu fatto a tutti noi, con permesso speciale di Sua Eccellenza per mettermi la catena al braccio sinistro essendo il destro il malato, poi fummo separati e condotti attraverso quell’orda selvaggia di vigliacchi che si chiamano soldati e che ci scherzavano, ci insultavano, ridevano della nostra disgrazia al nostro passare. All’altro estremo della catena è legato un mascalzone qualunque pieno di rogna e di pidocchi che è garante del delinquente che gli viene affidato. Così ognuno fu condotto in una capanna e circondato da donne, ragazzacci e soldati che si appropriarono quattrini, fazzoletti, orologi, quanto poteva soddisfare i loro gusti: ci spiegarono come ras Area era come Teodoro e noi gli inglesi che questi aveva incatenato; chi con un fucile spianato mi mostrava che fuori la capanna mi avrebbero fra poco finito, chi con una spada voleva farmi capire che la mia condanna era il taglio del piede e della mano. Intanto i pensieri volavano a casa mia, all’avvenire, ad una lunga prigionia, a sofferenze, alla morte; e per buona sorte la noja insistente di questi importuni non lasciava troppo tempo allo svolgersi dei pensieri, e il succedersi di questi mi calmava l’indignazione della posizione in cui mi trovavo condannato. Oso dire che la risultante fa una buona dose di rassegnazione e mi tranquillai aspettando la mia sorte.

Non saprei precisare quanto tempo durò questo stato di cose, e i minuti devono certo essermi sembrati ben lunghi, ma