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Capitolo undicesimo. 205

di diverse alture coltivate e ben vestite da vegetazione, dalle quali godiamo sulla nostra sinistra l’esteso panorama del lago Tzana, scendiamo in una sterminata pianura nel mezzo della quale ci andiamo a fermare presso alcune capanne, abitate da miseri pastori che non trovandosi in forza di reagire vengono a supplicarci colle lagrime di risparmiar loro il tributo, perchè mancanti persino del pane per vivere. Ci accontentiamo quindi di qualche piccola cosa che ricompensiamo con moneta.

Tutti i giorni verso le tre il cielo si copre e ci accompagnano pioggie dirotte che ci preparano bene inzuppato il terreno sul quale dobbiamo poi piantare la tenda e sdrajarci, salvo poi continuare la notte e colla pendenza del suolo formarsi una corrente d’acqua, che mentre dormiamo ci cura idroterapicamente il dorso.

Lunedì 23. Proseguendo a nord-ovest attraversiamo la vasta pianura a poca distanza dal lago, con un caldo soffocante; alla nostra destra ci maschera il Gondar una bella catena di monti, uno dei contrafforti del gruppo del Semien che fra pochi giorni visiteremo. Usciamo dalla provincia di Begemeder ed entriamo in quella di Dembea che è sotto il governo del vecchio ras Area che ci fu dipinto come affabile e di modi cortesi cogli Europei, ma il più severo e crudele coi suoi; è il solo che ancora abbia inflitta la pena dell’accecamento, malgrado il re vi sia contrario. Lungo il lago masse di ardee, anatre, oche selvatiche e cento altre varietà di selvaggina, da coprire letteralmente acqua e spiaggia. Sono talmente ingenui sui tranelli che l’uomo può tendere loro, che si lasciano assai facilmente avvicinare, ed al tiro del fucile non fanno che sollevarsi in massa per rimettersi a pochi metri di distanza. Giunti all’estremità del lago pieghiamo leggermente a nord, e, attraversati molti campi coltivati, ci accingiamo alla salita del colle di Genda, i cui versanti sono occupati dall’accampamento delle truppe e il vertice dal solito ricinto entro cui sono le capanne del capo.