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196 Capitolo decimo.

occhi vorrebbero chiudersi, ma gli spasimi superano tutto e assolutamente m’è proibito ogni riposo. Ora poi si aggiunge anche questo trambusto. La mattina giunge, e davvero non avrei creduto di poter sopportare tante sì terribili pene.

Mercoledì 4. Per un quarto d’ora ci andiamo innalzando per poi scendere in una vastissima pianura poco più elevata del lago, che tutta attraversiamo: durante la discesa seguiamo coll’occhio il corso del Nilo che dal lato sud-ovest, in fondo alla pianura, va serpeggiando fiancheggiato da due strisce di folta verdura, frutto delle terre che egli lambe e fertilizza.

Appena abbiamo messa la tenda, siamo raggiunti dal fratello del capo del villaggio di ieri, che giunge seguito da gran corteo di servi ed armati: è tanto cordiale con noi, che subito sospettiamo, abituati come ormai siamo che in questo paese c’è ben poca cordialità e spontaneità, e se qualcuno ne mostra è per raggiungere altro fine che si è prefisso. Poco dopo infatti ci fa chiedere delle munizioni.

Continuiamo il giovedì 5 col solito alternarsi di pianure e di alture; attraversiamo diversi corsi d’acqua che vanno a portare il loro obolo a papà Nilo; saliamo un’erta collina, e ridiscesi dall’altro versante ci troviamo al ponte che i Portoghesi costrussero per unire il Goggiam all’Amara, e che oggi potrebbe essere scuola ed invece è onta a questo popolo.

La posizione è delle più tetre che si possano immaginare. Giace questo testimonio dell’antico potere incassato fra alture dai profili quasi orizzontali, sulle quali la vegetazione cessa a metà dell’altezza per dar luogo a pareti di rocce nude e nerastre, in fondo alle quali il fiume scorre accompagnato da un monotono rumoreggiare, che unito al cielo bigio e all’atmosfera cupa del momento per minaccia di temporale, aveva del sepolcrale. Il ponte poggia su roccie di diversa altezza: l’arco maggiore sovrasta la maggiore profondità, quindi sempre vi