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Capitolo decimo. 195

ridotta doppiamente sensibile dall’infiammazione, cede sotto l’altra, e solo dopo parecchi tentativi mi riesce aprire un piccolo taglio.

Lunedì 2 giugno. In direzione sud marciamo per quattro ore e piantiamo le tende in un magnifico altipiano, precisamente all’altezza dove il Nilo Azzurro esce dal lago. Questo comincia già un pochino a ristringersi poco sotto Corata, e dove accampammo ieri principia a fare imbuto, sparso di isolotti e lingue di terra che dalla spiaggia, basse si protendono all’interno. Il cammino percorso oggi è sempre parallelo al lago e in qualche punto lambe le sue acque. È sempre alternato fra basse pianure a pascoli popolate da bestiame, ed alture che si stendono lunghe verso il lago, quasi come radici della catena che ci sta sulla sinistra. Attraversando queste la natura è selvaggia e grandiosa, e popolata solo da fiere che non osano mostrarcisi e da una massa di caccia, specialmente faraone e gazzelle: alberi secolari d’ogni forma ed altezza, tronchi caduti per vecchiaia o per forza di bufere ed artisticamente rovesciati gli uni sugli altri, liane che tutte avvingono fra loro le diverse varietà, fiori che coprono il suolo: la mano dell’uomo non entrò certo mai a togliere nulla alle bellezze che natura ha prodigato a questo cantuccio. Il capo del villaggio è cordialissimo e ci manda ogni ben di Dio.

Martedì 3. Restiamo qui per la caccia all’ippopotamo cui prende parte Ferrari: io non lo posso pel mio dito che va di male in peggio: non un istante di riposo nella notte. Con un rasoio prestatomi dai servi tento ancora di farmi da chirurgo, ma di poco riesco ad approfondire il taglio già fatto. Nella notte abbiamo per due volte invasione di grosse formiche nella tenda, che ci obbligano di trasportarla; mi sento sfinito dalla stanchezza, provo necessità assoluta del riposo, sento la sofferenza del bisogno di sonno, mi par di perdere la ragione, gli