Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/270

194 Capitolo decimo.

chi, ciò che mi fa supporre siano resti di una piazza forte dei Portoghesi. Il lago aggiunge maggior vita al paesaggio, e non possiamo abbastanza bearci della sua vista e della sua frescura, dopo tanti mesi che l’occhio nostro non trova più a riposare su una massa di questo simpatico elemento. Sono strane le barche usate, a forma di pantofola ricurva alla punta, e costrutte con grosse canne palustri strettamente legate fra loro con scorze d’alberi. Dalla spiaggia si vedono frequenti ippopotami che sollevano le loro enormi teste fuori dall’acqua per respirare.

Tutti si mostrano così inospitali e nel trattarci e nel provvederci di quanto fu loro ordinato dalla guida nostra, che decidiamo la partenza per domani, risoluti di fare al re un rapporto che guadagni il meritato castigo a questi scortesi sacerdoti.

Quando il giorno dopo videro la nostra decisione di partire, temendo le conseguenze del nostro malcontento, vennero in processione a dichiararci la più profonda simpatia ed amicizia e prometterci che se restavamo, ci avrebbero mandato ogni sorta di viveri, ma noi ci mostrammo fermi, e caricate le mule, proseguimmo verso sud, lungo il lago, e piantammo le tende in riva a questo, dopo due ore di cammino, presso alcune meschinissime capanne basse, ristrette e totalmente coniche, costrutte con erba e canne palustri e abitate da pochi miserabili pastori. La natura è grandiosa, il paesaggio bello, ma le sofferenze pel dito malato mi tolgono gran parte del piacere che proverei. Da parecchie notti mi è impossibile dormire, si è terribilmente ingrossato, non sono più dolori, ma spasimi; la natura stessa mi fa sentire il bisogno di aprire una via al male che internamente corrode.

La farmacia e i pochi ferri chirurgici li lasciammo a Debra-Tabor, dovendo tornarvi, quindi con un coltellaccio qualunque tento fare quanto l’istinto mi suggerisce, ma la mano malata,