Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/265


Capitolo decimo. 191

sud-ovest, attraversiamo per lungo tratto l’accampamento, passiamo ai piedi dell’altura sulla quale sta la chiesa del Salvatore con gran sfarzo cominciata da Teodoro, proseguiamo, discendendo entro un vallone, più ad ovest, ed alle cinque la guida ci consiglia fermarci presso alcune capanne, dicendo essere lontani altri villaggi. La sera ci portano pani, burro, uova, birra e una gallina.

Mercoledì 28. Discendiamo per vallate assai popolate e coltivate, verdeggianti di pascoli e di folta vegetazione. Predominano acacie, lauri, gelsomini, rose, muse e cento altre varietà che non so qualificare. In molti punti il sentiero è cattivo sia per la ripidità, sia per le pietre e i rami che lo ingombrano e non permettono di passarvi sotto a cavallo. Alle due, in un punto ove la vallata si allarga, vediamo molta gente radunata ad un mercato: ci fermiamo per comperare del caffè, ma la nostra apparizione produce un tal panico che tutti i venditori raccolgono le loro merci e se le portano via lasciandoci pienamente padroni del terreno.

Mezz’ora ancora, e facciamo sosta al villaggio di Dora a circa 2100 metri. Il capo ci si mostra cordialissimo e vuole che accettiamo una capanna per la notte, amabilità troppo spinta, chè preferiamo la tenda, ma il rifiuto sarebbe offesa. Notte infernale: abbiamo a compagni una raccolta di donne, uomini, bambini, cani, gatti, galline, e una miriade di insetti d’ogni specie che non ci lasciano chiudere occhio; io per di più soffro immensamente all’indice della mano destra, che da qualche giorno ha cominciato a tormentarmi.

La mattina seguente il capo del villaggio viene a complimentarci, e dichiara di volerci accompagnare qualche poco: sarà in parte effetto di cortesia, ma si deve un pochino anche attribuirlo al desiderio che ci espresse d’avere della polvere da fucile. Dopo un’ora di discesa vuole ci fermiamo all’ombra di