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182 Capitolo nono.


Cominciarono i dignitari di Corte a venir a visitare Naretti, congratulandosi pel suo ritorno, e dragomanno, e tesoriere, e cerimoniere stavano con noi quando udimmo cinque colpi da cannone. Sarebbe ridicolo l’appropriarcene l’onore, che non avendo noi veste ufficiale, anche il re d’Abissinia non consuma la sua polvere per festeggiare l’arrivo di gente che non sa chi sia; ma amici di Naretti e da lui introdotti alla presenza reale, ci fece gran piacere questo segno di distinzione a suo riguardo e ci confortò dell’impressione fredda del primo ricevimento, che ognuno aveva provata, ma che nessuno osava esser primo a confessare. Abbiamo poi subito saputo che la freddezza è nel carattere di re Giovanni, che d’altronde era preoccupato e per la sorpresa del nostro arrivo inaspettato, e per una sentenza che suo malgrado aveva dovuto dare la mattina, e che si eseguiva appunto quando noi arrivavamo, tagliando mano e piede ad un ladro. Ci aggiunsero anzi che pel nostro arrivo erano già destinati cento soldati ad incontrarci e riceverci con salve di moschetteria.

Il prete di un villaggio ove accampammo uno dei giorni scorsi, viene a domandarci mille scuse, perchè sapeva che i suoi parrocchiani non ci avevano trattati come si conveniva, e in segno di perdono ci offre due vacche; viene l’incaricato dal re pei nostri viveri e ci porta pure tre vacche, trenta coltelli di ferro da restituirsi alla partenza, trenta candele del paese, vasi di tecc, berberia, burro, miele, pani in grandi cesti; e ogni recipiente portato da un servo e coperto da un cencio rosso. La scena, per sè, il saperci ospiti del temuto re dei re, l’originalità dell’ambiente erano tutto quello di più solenne e di più fantastico che si possa immaginare, e certo il momento sarebbe stato anche commovente, se la forza alle lagrime non avesse mancato pel grande appetito che tutti ne abbatteva in mezzo a tanta abbondanza.