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178 Capitolo nono.

riamo dolcemente a sud, per proseguire su d’un piano inclinato sparso di acacie, fra cui alcune gommifere, e grossi ficus.

Passiamo un torrente che ai tempi dell’Abissinia fiorente, pare scorresse impetuoso, perchè i Portoghesi vi costrussero un ponte di cinque arcate, e alle tre circa ci fermiamo ad Amoraghedé, a poche ore dal campo reale. Dove raggiungemmo la pianura, avevamo 1950 metri di elevazione, e dove abbiamo stabilito l’accampamento, siamo risaliti a 2120 circa.

Martedì 20. Abbiamo avuto nella notte uno di quegli acquazzoni equatoriali, che pareva volesse sprofondarci colla tenda. La mattina tutti i servi sono messi a nuovo colle loro camice pulite e con quel po’ di roba che si ebbero da noi in regalo; chi un paio di pantaloni, chi una camicia di flanella, chi un fazzoletto in testa, chi un paio di scarpe rotte, chi un gilet; in complesso una scena variata, originale e ridicola, e il ridicolo maggiore lo dava Francisco, un servo del Sudan, colla sua faccia mista da buffone e da idiota, nera come ebano, con scarpe, pantaloni, giacchetta e cappello all’europea, la cintura da revolver e una lunga lancia in mano; un vero tipo da buttafuori da compagnia di saltimbanchi. Tutto è pronto, ma dobbiamo ancora aspettare, che nella lunga tappa di ieri alcune bestie rimasero in strada, e fra queste quella che porta la cassa colla croce da cavaliere di Salomone del nostro Naretti, e senza il distintivo non vuol presentarsi a sua Maestà.

Alle nove finalmente lasciamo il bagaglio, come di prammatica nelle circostanze solenni, e noi partiamo soli. Francisco inforca un magro cavallo bianco, e questo completa la macchietta. Si finisce di salire il piano inclinato, poi si comincia un’erta salita entro una valle per raggiungere un vasto altipiano nel quale continuiamo la nostra via. Sono vaste distese di pascoli, di terreni coltivati, di alture che si innalzano coperte da folta vegetazione, e noi andiamo continuamente attraversando or degli uni