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Capitolo nono. 177


Un povero pazzo, completamente nudo, gridando a squarciagola corse attorno al nostro campo mettendo lo scompiglio nelle mule, poi, vedendo che di un montone ammazzato si erano gettate le interiora, si slanciò come jena su queste e si mise a rosicchiarle.

Mentre contempliamo questo compassionevole spettacolo, un altro se ne aggiunge; un grosso falco, che forse vecchio abitatore di queste vallate, sapeva con chi aveva a fare, per ben due volte ebbe tanto ardire da lanciarsi a prender la preda fra mano e bocca del disgraziato.

Lungo la via da Adua in qua, incontrammo spesso piccole compagnie di povera gente che la miseria consigliò di traslocare da un villaggio all’altro, e che torna nel Tigré da dove sfuggì la carestia. Sono tutti miserabili, macilenti, coperti da pochi cenci, coll’impronta della fame e delle sofferenze scolpite nelle carni. Le donne sono cariche dei loro bambini che portano sospesi sul dorso con pelli ricamate con conchiglie, e di panieri e zucche; nei primi portano gli avanzi del pane fatto la mattina o il giorno innanzi, nelle seconde, burro, berberia, acqua ed ogni altra cosa. Le lavorano bene, adattandovi un coperchio e maniglie di liste di pelle; sostituiscono insomma quello che da noi si fa con vetro, terra cotta, metallo o porcellana. Le piccole, tagliate a metà servono inoltre da bicchiere. Credo che proprio da questo frutto si sono sperimentati tutti gli usi possibili e immaginabili.

Oggi incontrammo pure una carovana che veniva dal Goggiam con caffè. I carichi erano portati in parte da boricchi e in parte da giovani alte, nere, seminude, dal tipo schiacciato. Sono schiave sciangalla, per modo che arrivati in Adua si fanno le due vendite, del caffè e di chi lo ha portato...

Lunedì 19: in direzione sud-ovest andiamo discendendo per una bella vallata, larga, verde, in alcuni punti fitta di ricca vegetazione, e raggiunto il vasto piano in cui va a spegnersi, gi-