volte. Non abbiamo guide, e nessuno cui domandar consiglio
quando ci troviamo ad una biforcazione della vallata; seguitiamo
quindi dove ci pare più ragionevole dover essere la nostra direzione, ma il dubbio ci accompagna dello sbagliar strada. Passa
un’ora, ne passano due e più, il cammino si fa sempre più cattivo
e a cento doppii aumenta ad ogni passo il timore d’essere
su falsa strada; la vallata ci appare chiusa e davanti ci sta
un’ertissima salita che è pur forza superare, e a divagarci abbiamo
parecchi incontri di grossissime scimmie. Dal colmo dell’altura
si stende dietro noi un estesissimo panorama di tutto il
territorio che attraversammo da Adua in qua; un vero ammasso
di coni e di avvallamenti, perfettamente l’effetto di una carta
geografica in rilievo. A_sud la catena imponente del Semien che
si protende verso ovest, dove ci sta dinanzi la parete quasi
verticale del monte di Wogara che dovremo oltrepassare, e del
quale ci fecero pitture così nere, dicendolo tanto erto che le
mule cariche non lo possono salire, ed è forza farvi trasportare
il bagaglio a dorso d’uomo. Discendiamo di pochi metri
in un altipiano in gran parte coltivato, sparso di acacie e di
enormi gruppi di gelsomini affratellati alle rose, e in fondo al
quale sorge un’altura la cui vetta è coronata da piante e sul cui
versante, a diversi gruppi è sparso un villaggio. Lì presso è piantata
la nostra tenda che vediamo con somma gioia, perchè il
sole volge al tramonto, e sempre abbiamo compagna l’ansia dell’esser
fuori strada. Il villaggio è detto Dibbi-bahar, a 2200 metri.
La posizione è bella, il pascolo abbondante, e ciò ci rallegra,
perchè prevediamo che domani si dovrà fermarsi qui in attesa
dell’altra carovana. È stata oggi una vera giornata campale pel
cammino e quaresimale pel pasto, chè la via fu lunga e faticosa,
la colazione di un po’ di chissera o pane del paese e il pranzo
la stessa cosa con un po’ di miele. Non si ha pericolo, almeno,
di soffrire imbarazzi allo stomaco. La sera però possiamo