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166 Capitolo nono.

passiamo a guado essendo meno di un metro di profondità al centro, e una sessantina di larghezza. Eccoci entrati nella provincia dell’Amara, ed eccoci forse chiusa la sortita per parecchi mesi, se il forte delle piogge ci sorprende prima che possiamo incamminarci pel ritorno. Scorre piuttosto incassato fra un vero ammasso di alture, ed ai lati è fiancheggiato da vegetazione folta, rigogliosa, gigantea; gli alberi secolari sono legati fra loro da una vera rete di liane, e centinaia di scimmie li popolano e ci divertono coi loro gridi, salti e modacci. Mettiamo il campo sotto colossali acacie e adansonie, poco sopra il livello dell’acqua che scorre a 950 metri di elevazione. L’incanto della posizione avrebbe bastato a farci passare intere giornate, ma per le poche ore che vi restiamo troviamo invece ad aggiungervi caccia di antilopi nelle colline, di anatre e oche nel fiume e dell’ipopotamo, che sollevando la testa fuori l’acqua e sbuffando, ci fece consumare buon numero di cartucce.

In questa stagione l’aria è buona presso i fiumi, ma dopo le piogge è altrettanto pestilenziale, e ciò deriva dalla grande vegetazione che impedisce la corrente d’aria, e dalla piccola vegetazione annuale e dalle masse di foglie che cadono e che vanno in putrefazione, dando così origine ai miasmi che sono un vero veleno.

La domenica mattina per tempo ci avviamo per una salita ertissima, dove in alcuni punti si arrampica materialmente di roccia in roccia, accompagnati da un’afa soffocante e da un sole infuocato. Dopo un paio d’ore siamo al ciglio dell’altipiano, voglio dire siamo usciti dalla grande infossatura in cui scorre il Taccazè, e siamo tornati alle aure più pure di 1500 metri d’elevazione.

Proseguiamo verso sud, in direzione della catena del Semien che ha l’aspetto di un vero caos di dirupi, castelli diroccati, aguglie, torri monche e simili. Le mule sono alquanto af-