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Capitolo nono. 165

remo più niente. È uso che quando si viaggia sotto la protezione del re e scortati da un soldato, i villaggi devono dare tutto quanto è necessario alla sussistenza dell’intiera carovana. Si hanno però sempre mille noie e litigi ad ottenerlo, quantunque dicano che i contadini non ci perdono nulla venendo questo dedotto sul pagamento delle imposte; d’altronde non regge la coscienza di portar via il pane a questi miserabili che si vede ne hanno realmente poco. Consiglio dunque a chiunque voglia intraprendere un viaggio simile di non assogettarsi a questa generosità imposta, di portarsi delle provvigioni, comperare quanto necessita e accampare anzi possibilmente a qualche distanza dai villaggi.

Viene un individuo ferito al dorso, dove dice di aver ricevuta una fucilata e ci promette, se sappiamo estrargli la palla, una meschina gallina che merita piuttosto il titolo di pulcino. L’arte medica non farebbe certo fortuna in questo paese.

Verso sera, con un baccano infernale, arriva una carovana di forse 150 individui che cantano, gridano, suonano ghitarre e flauti di canna, per festeggiare il matrimonio del fratello del governatore che mette il suo campo a pochi metri dal nostro. Vanno così girando e gozzovigliando per parecchi giorni, e sono un vero flagello pei poveri paesi dai quali passano.

Il giorno seguente facciamo sette buone ore di marcia attraverso pianure comode per le cavalcature, ma monotone per noi, e ci fermiamo al villaggio di Zembellà a 1800 metri.

Sabato 3 ci incamminiamo alle sei e si continua per due ore nell’altipiano stesso, poi si comincia una ripida discesa fra vallate coperte da vegetazione fra cui primeggiano grossi alberi di gardenia dai fiori grandissimi, che quasi rendono l’atmosfera troppo carica del loro delicato profumo. Più ci abbassiamo, il caldo aumenta, fino a diventare soffocante. A mezzogiorno, sortendo da un folto bosco ci troviamo dinanzi il Taccazè che colle sue acque fangose scorre tranquillo e quasi imponente; lo