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Capitolo ottavo. 141


La dura è il grano più usato dalla popolazione: i benestanti usano molto il teff, che somiglia al nostro miglio, e col quale fanno dei pani simili a grandi ostie tutte a piccoli fori come un merletto, sempre molle come pasta cruda, anche se stracotto. Hanno buon frumento, ma raramente lo usano. Le capanne loro sono meschinissime e tutto quello di più sudicio che si può immaginare: è un lusso concesso a pochi l’avere un angareb, chè la maggior parte dorme per terra rannicchiata su una pelle da bue che difende dall’umido e dagli insetti. È gente del resto contenta del suo stato, che con poco potrebbe procurarsi qualche miglioramento nelle abitudini e nel vivere, ma che non ne sente il bisogno e non se ne cura.

Il sapone vegetale è un arbusto curioso che prende volontieri forma d’arrampicante nelle siepi: produce dei fiocchi di fiori biancastri, dei quali i semi si usano come sapone e ottengono benissimo l’intento producendo molta schiuma.

L’abissinese non si lascia mai vedere quando mangia, e facendo questa indispensabile operazione, si raccolgono a piccoli crocchi e si coprono stendendo uno scemma sulle teste. Così pure quando parlano, lo fanno spesso sotto voce e alzando il manto a coprire la bocca. È gran lusso l’avere delle bottiglie europee in cristallo a forma di cipolla, e di queste si servono come da bicchiere. Hanno poi bicchieri e bottiglie di fabbrica nazionale, che consistono in grosse corna da bue ridotte all’uopo.

Si pretende sia conseguenza dell’uso delle carni crude la frequenza del tenia, che curano con una decozione di cussò, albero che vegeta splendidamente in molte località. Del resto la loro farmacia si riduce a qualche rimedio empirico, sempre vegetale, e nel confidare nel tempo e nel lavoro di natura. Per le ferite e le piaghe applicano assai facilmente il fuoco con un ferro rovente; e frequentissimi sono gli individui che al petto, al dorso o alle braccia ne portano le tracce.