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138 Capitolo ottavo.

fitta pure in blocchi di granito sovrapposti come gradini di scala rovescia.

Dopo sette o otto metri s’incontra un corridoio trasversale: rimpetto all’entrata una specie di camera di quattro metri circa di profondità, e ai lati di questa due corridoi dall’apparenza paralleli continuano in direzione dell’entrata. Mi inoltro per qualche metro, ma sgraziatamente la mancanza di luce naturale ed artificiale non mi permette di verificarne nè la direzione nè la profondità.

Nelle vicinanze se ne vedono altre simili, ma l’accesso ne è quasi completamente proibito da pietre che lo ingombrano, e solo vi hanno rifugio jene e sciacalli.

Per una via molto più variata e simpatica di quella percorsa venendo, ce ne torniamo alla nostra dimora di Adua, dove gli amici rimasti ci avevano preparato di che rifocillarci; ma mentre tutti quanti stiamo col piatto sulle ginocchia, entra un corriere speditoci da Massaua.

Tacque la fame, ognuno dimenticò quanto aveva sul piatto e alle nostre narrazioni, al tintinnio delle posate subentrò un silenzio sepolcrale interrotto solo dal fruscio di qualche pagina che dava posto ad un’altra.

Bisogna averlo provato, per poterlo immaginare, cosa sia di consolazione ricevere nuove della propria famiglia, e inaspettatamente, in simili circostanze.

Il costume generale dell’Abissinese è lo scemma, specie di lenzuolo bianco attraversato da una striscia scarlatta di cinquanta centimetri di larghezza: il bianco si ottiene da cotone coltivato in alcune provincie, filato e tessuto in paese, il rosso è filo importato d’Europa, e come per questo motivo è la parte più costosa, i poveri lo sopprimono e più si avanza nell’interno, più si restringe, diventando maggiormente caro pel trasporto. Il genere dell’abbigliamento e l’eleganza del modo di indossarlo por-