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102 | Capitolo sesto. |
ogni traccia di civiltà è scomparsa, dove non ne resta neppure la reminiscenza per tutto quello che costituisce comodi della vita od organizzazione sociale, abbia potuto conservarsi l’uso di questi utensili e la relativa industria.
Questa è assai limitata in Abissinia, e si riduce a pochissimi rami ed a singoli individui che la professano. Si fila il cotone di produzione indigena e lo si tesse con telai affatto primitivi per fare gli scemma, di cui però la riga rossa è fatta con cotone importato, non conoscendosi in paese l’arte del tintore.
Si lavorano un pochino le pelli e se ne fanno selle, bardature per cavalli, sandali, astucci per le armi; si lavora il ferro, che si trova poco meno che puro in natura, e se ne cavano rozze lance e lame per sciabole.
In qualche provincia si fanno panieri bene intrecciati con scorze di palma o di canne palustri; uno o due individui forse, sanno lavorare il bronzo, importato, per farne gli utensili dei quali parlai, e qualche altro lavora l’argento, ottenuto fondendo i talleri, per farne collane, braccialetti, anelli, spilloni per la testa, ornamenti per chiesa.
È sorprendente vedere come possano ottenere una relativa finezza e perfezione di lavoro, mentre il loro laboratorio è una miserabile capanna, la tavola da lavoro, la terra, la fucina, un fuoco acceso contro due pietre disposte ad angolo e ravvivato dal soffio ottenuto comprimendo una pelle da capra; i ferri, qualche rozzo scalpello o punta d’acciaio. Tutto si ottiene colla gran pazienza, che il tempo val poco e il vitto costa meno.
Ebbi la fortuna di trovare in Adua un turibolo di nuovo finito, e il fabbricante che me lo vendette mi confessò che gli costava tre mesi di lavoro.
La sola industria che abbia un certo sviluppo in paese è quella del sale, che si estrae da immensi depositi che stanno nella provincia di Sokota, e che è monopolio governativo, o meglio