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Capitolo quinto. 83

di tattica, e tutto l’esercito guidato da re Giovanni mosse a marcia forzata verso Guda-Guddi.

Gli Egiziani erano bene armati, disciplinati, comandati e istruiti da ufficiali europei, possedevano anche cannoni; gli Abissinesi invece avevano pochi fucili, vere anticaglie, lance e sciabole alquanto rozze, ma erano animati dalla voce risoluta del loro sovrano, spinti dall’odio contro chi quasi in segno di sprezzo li aveva così aggrediti, accecati da fanatismo religioso.

La lotta fu terribile, e finì con un massacro, non con una vittoria. Non si calcolano le vittime da parte dei vincitori, basti dire che degli Egiziani sette soli riuscirono colla fuga a raggiungere la retroguardia, uno solo dei feriti potè nascondersi e guarito vive ora in Adua, temendo un troppo severo castigo se tornasse in patria. Nè prigionieri nè feriti furono rispettati, tutto quanto fu trovato facesse parte del nemico si passò a fil di spada. Trattandosi di mussulmani, questi fanatici cristiani non vollero concedere l’onore della sepoltura, ed anche oggi tutto il campo è seminato delle miserande reliquie di questa fatale giornata. Al centro della trincea, dove era radunato lo stato maggiore difeso da una batteria, le ossa, i teschi, i resti dei cavalli coprono letteralmente il terreno, mostrando come si possano calpestare i più sacri principii di una religione, quando questa sia male interpretata o faccia velo alla ragione col fanatismo.

Profano nell’arte militare, bisogna però che convenga come sia stato imprudente e insieme ardito il dirigere un corpo di soldati attraverso un paese come questo, dove mancano strade, indicazioni, comunicazioni, dove la natura lo rende doppiamente difficile pel nemico, ma altrettanto propizio a chi vi ha l’abitudine, ostile per di più, privo affatto d’ogni risorsa e del più necessario alla sussistenza, dove scarsissima è persino l’acqua, e la poca che si trova, sempre cattiva. Irragionevole poi, mi permetto di dirlo dopo aver visitata la località, di far sostare