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80 Capitolo quinto.

tori e pel povero ammalato pel quale ogni scossa è uno strazio, e per conto mio, dico il vero, non poteva guardare quella barella senza sentirmi spuntare le lagrime, e rattristare da una folla di pensieri che amareggiavano ogni ora più questa giornata.

Ci andiamo insensibilmente innalzando su un piano inclinato, alla fine del quale una forte discesa ci porta in altro altipiano. Sempre la stessa natura, poche piante e in gran parte acace, fieno altissimo: di quando in quando qualche tratto dove l’evidenza del ferro si oppone a qualunque vegetazione. Verso mezzogiorno troviamo la testa della carovana ferma in un punto detto Adicasmu, presso la prima palma che mi è dato incontrare in questo paese: esile, ma ricca al piede di numerosa famiglia, forma un gruppo elegante e pittorico che vedo con piacere come tipo di vecchia e simpatica conoscenza. La tappa fissata per oggi sarebbe più avanti, ma non vi troveremmo legna, per cui acconsentiamo a fermarci qui, colla promessa di acquistare domani il tempo perduto.

Verso le cinque arrivano tre cavalieri, che entrano nel nostro campo, scendono di sella e si presentano a Naretti. Sono latori per quest’ultimo di una lettera di re Giovanni che dovevano portargli fino a Massaua: tutti accorriamo, appena si sparse la notizia, a sentire delle nostre sorti, e la signora Naretti ci fa da interprete. La lettera presso a poco suona così:

«Mando il buon giorno a te ed ai tuoi amici.

»Io non sono il padrone di questo paese, che appartiene a Dio, e solo mi è concesso di governarlo: tutta la gente buona è quindi libera di entrarvi. Ho avuti molti altri bianchi, ma ho dovuto persuadermi che fanno molte promesse e mantengono poco, per finire poi ad immischiarsi negli affari religiosi, ciò che io non tollero, perchè stimo buona la religione del mio popolo e non voglio che la cambii. Ma questi sono italiani come te, e