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le bottiglie che avevano innanzi; i cocci ne sarebbero andati sin chi sa dove, tanto erano tremendi in vista, pei mostacchi non più veduti, e per occhi che mostravano il bianco, come di cani ringhiosi. A ciascuna di quelle figuracce, Marocco sapeva dare un nome; e a udirlo, erano ritratti d’antichi Uffiziali del Re di Sardegna, stati a presidio nel borgo, per far la guardia alla repubblica di Genova, che non entrasse in corpo al loro Sovrano. Questo era un gran giocator di pallone; quest’altro amoreggiava la madre d’una signora del borgo, che viveva ancora; quello faceva tremar la gente solo che s’affacciasse alla finestra... Marocco conosceva di tutti vita e miracoli, sapeva dov’erano nati, dove morti, e fino dove sepolti. «La mia bottega, diceva egli mescendo agli Alemanni, fu sempre il convegno dei valorosi! Il conte tale, il cavalier tale, tutti nobiloni dei primi casati del regno, venivano qui, ed erano soldati allegri e spenditori; ma come loro signori, in coscienza non ve n’ho avuti mai!» E pigliava un gusto matto, a farsene far fede dai signorelli del borgo, i quali venivano a giuocare un tantino in sul desinare; cari una volta ora gabbati da Marocco, che si faceva udire a chiamargli scaldapanche. Buscava da essi qualche scapellotto, ma pur di far ridere i suoi signori Alemanni, non vi badava.
Un giorno, (che non monta sapere qual fosse, o decimo o ventesimo dalla partenza di Giuliano da D....); nella bottega di Marocco, si faceva un gran dire della guerra ricominciata. Era voce che il generale Alemanno avesse ricevuto ordine di recarsi con tutta l’oste verso Nizza; perchè i Francesi venivano, cacciando di là i Piemontesi, vinti a Dolceaqua, al colle delle Forche, a Raus, e si parlava della rocca di Saorgio investita. I discorsi s’incrociavano come spade, e tutti parevano là dentro sulle brage, pel gran desiderio di menar le mani. Un solo non si mescolava in quei fervori; ed era quell’uffiziale, che si sentiva morire di Bianca, e non vedeva l’ora di poterla sposare. Stava raccolto in un angolo,