Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 420 — |
qui, e eterno; però non deve essere noto che a chi l’intende...
«Sì — rispose Giuliano — andiamo a nasconderlo altrove.»
E a braccietto dell’uffiziale, seguito da don Marco, che accompagnava Tecla e Marta, uscì di chiesa avviandosi giù dal colle. Donna Placidia, non volle più staccarsi da quel suo posto, dove le pareva che qualcuno, o lei o il pievano, avesse il dovere di stare; e li salutò, per tornare nel presbiterio, a farvi gli onori di casa ai Francesi, che già vi si erano posti a lor agio, senza la licenza di lei.
Come la comitiva fu al piano, ed ebbe passato il ponte, l’uffiziale fece segno di voler tirare innanzi verso la casa di Giuliano. Ma questi gli disse: «amico, ho pensato.... ho deciso: accompagnatemi ancora un tratto con queste donne, e lei don Marco, mi perdoni, ma ho bisogno di lei sin lassù, alla cappella di San Giovanni.
«Per me ti seguo sin dove ti pare: — rispose il prete, cui parve di indovinare il pensiero che il giovane volgeva in mente; e senz’altre parole, si misero per una viuzza, attraverso ai vigneti dei poggi, che sorgono baldanzosi a sinistra del borgo.
La cappelletta cui accennava Giuliano, si vede tuttavia su d’una vetta, ombrata ora da una quercia, che per farsi gigantesca com’è in suolo arido e magro, deve essersi nudrita dei molti Francesi e Alemanni, caduti là intorno, la vigilia di quel dì. Perchè sin là appunto si era stesa l’ala destra dell’esercito imperiale; là era stato uno dei più stretti gruppi della battaglia; ma a quell’ora anche là era scomparsa ogni traccia di lotta; e soltanto ne rimanevano i segni nella porta della chiesuola sfondata, e negli arredi sconvolti.
«Io vi ho fatto venir qui, — disse Giuliano al Francese, che a quelle parole parve riscotersi da un sogno, essendo venuto su pel colle, pensando alle cose del giorno innanzi: — io vi ho fatto venir qui, perchè mi siate te-