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della famiglia di Giuliano; poi ne mandò due a dare nelle campane a morto.

Allora, giù nella casa di Giuliano, si fece folla di soldati, e di borghigiani, tornati alla notizia dolorosa, quasi fosse stata pegno di pace tra loro e i Francesi: e la bara partì, portata sulle spalle poderose di quattro soldati. Seguita da don Marco, da Marta, da Tecla, e da una processione che la più lunga non si era mai veduta; la morta, col capo scoperto su d’un guanciale, pareva salire al trionfo verso il castello. Al suo passaggio tacevano le clamorose brigate, si scoprivano, e si mettevano nel corteo: e intanto le campane, proseguivano a mandar lontani nei monti, i loro suoni lugubri, a turbare, a commovere, a mettere in pensieri i borghigiani fuggiti, che ignoravano per qual morto suonassero i funerali.

Ma non l’ignorava Giuliano, il quale andato errando di montagna in montagna, riveniva per selve e burroni al mesto richiamo; e dirigendosi a corsa verso la chiesa, giungeva che le benedizioni erano state fatte da don Marco, la bara già calata nel sepolcro, e udiva ancora la pietra di questo ricadere, sonando cupa, nella incastonatura.

«Per carità, un momento!» gridò egli, fendendo colle braccia la folla; ma arrivato a fatica dove don Marco, donna Placidia, Marta e Tecla, si erano inginocchiati a dire l’ultime preghiere; cadde vicino al prete, baciò la lapide e rimase con essi a pensare in silenzio.

Marta provò vedendolo un gran sollievo, il cuore di Tecla si turbò, e don Marco e donna Placidia scambiavano tra loro sguardi pietosi.

Intanto l’uffiziale Francese che si adoperava in quei fatti, come fosse uno della famiglia di Giuliano; faceva sgomberare la chiesa dal popolo e dai soldati, parendogli che il raccoglimento di quelle persone, fosse cosa da non essere vista da tanti. Indi venuto a lato del giovane, lo toccò leggermente nella spalla e gli disse: «ora vi prego di venir via; il vostro dolore sarà grande altrove quanto