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rirsi; non vide più che fuoco: il ciborio, l’altare, il Cristo, tutto fuoco, anche l’amitto da cui le parve di sentirsi scottare; lo gettò, guardandosi attorno; e via, colla stola e col libro delle preghiere, fuggì per la chiesa, paurosa del rimbombo che i suoi passi facevano sulle sepolture... Non le parendo vero di toccar viva la porta, agguantò la grossa chiave; il terrore le diede forza di girarla nella serratura, e aperto un battente, si lanciò fuori come un fantasma.

Bianca che era là sotto il portico, si levò ginocchioni a quella vista, e giungendo le mani: «o Madonna — disse — vi ho tanto pregata!»

«O signora Bianca! — gridò donna Placidia, riconoscendo la giovane alla voce; — taccia per carità, che io non sono la Madonna! Sono io, e ho già troppo peccato.... m’aspetti qui un tantino, vado dalla signora Maddalena.

«Lasci venire anche me.... che io possa morire sulla sua porta...! — pregò Bianca, tendendo le mani dietro a donna Placidia, passata oltre: e levatasi, la seguì come una pazzarella, giù per la stessa china fatta da Giuliano.

Pareva che le due donne s’affrettassero per raggiungere il giovane; ma egli rientrava in quel punto nella camera della morente.

«Giuliano, — diceva don Marco vedendolo tornare: — tua madre ha qualche cosa da dirti.

«Dica, dica, mamma! — esclamò Giuliano; e correndo vicino al guanciale, si chinò quasi a toccar colla sua, la testa della povera donna.

«Oh, figlio mio, — diceva essa stentando; — non lasciarmi morire, senza avermi detto che cosa sarà della povera Tecla. Tu glie lo darai un poderetto dei nostri? Tu ne piglierai cura come fosse tua sorella?

«Sorella, figlia, donna; Tecla sarà per me quello che lei, madre, vorrà!

«Donna....? Tu la piglieresti per donna? Oh! ne sentirei la gioia fin nel sepolcro!»