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tasia vicino a sua madre; e si vergognò d’aver tanto aspettato, che altri gli aprisse le porte di casa sua. Risoluto si mise in un ruscello coperto di grossi cespugli: camminò cauto in guisa, che potè cavarsi dalla corona di sentinelle francesi; e dopo molto stentare, giunse a guadagnar l’argine della gora, che sappiamo come lungh’esso il piè d’una roccia quasi tagliata a filo, corresse ad un molino, così poco discosto dal suo piazzale, che talora la spruzzaglia cacciata in aria dalle ruote andava a innaffiarlo. Là poteva essere per lui il malpasso, però che gli Alemanni gli stessero sopra poche braccia, sul ciglio di quella roccia; e ne udiva il gran darsi attorno, il bisbigliare concitato, e le parole imperiose. Ma la casa materna non era più che a quaranta passi, e nelle tenebre pareva pigliar forme vive e fargli cenni per incuorarlo. Tirò innanzi colla buona ventura quegli altri passi rischiosi; ma quando si sentì sotto i piedi il suolo del suo piazzale, e provò quel che forse prova un naufrago uscito nuotando alla riva; il cuore gli batteva sì forte; che gli bisognò fermarsi a ricogliere il fiato. E fu per lui gran ventura, perchè se tirava innanzi, s’andava a porre da sè in mano di quegli Alemanni, che un mese prima, l’avevano fatto cercare, come un malfattore. Due, quattro, dieci, ne vide una processione venir fuori dall’atrio, trascinando le sciabole; e a badare come camminavano, come parlavano concitati, di certo frullava loro in capo qualcosa di grosso. Al raggio di lume, che dalla porta della sala, li coglieva nelle schiene, man mano che scantonavano dall’atrio in sul piazzale, Giuliano li conobbe per uffiziali; e lesto si rannicchiò all’ombra del muricciuolo, dove stette finchè furono tutti passati. Udiva il martellamento del proprio cuore: udiva i discorsi concitati di quegli uffiziali; e da mano manca dove erano i suoi poderi, veniva un rumore cupo di calpestìo. Pensò che l’esercito Alemanno, si apparecchiasse ad un attacco notturno, ma di questo non si curò punto; e come potè farlo non visto, si lanciò nell’atrio, e di qui nella sala,