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pareva un giubileo; e sott’essi i pergolati del convento, già sin dal mattino era una briga di mercanti d’ogni generazione, i quali si davano attorno a porre i loro banchi, bisticciandosi alla buona tra loro. Nel piazzale della chiesa, giocolieri, storiai, vinai, contendevano per un posticino; ed il cerretano che ogni anno soleva venirvi, già faceva gente strombazzando di su un tavolino, avuto a presto dal frate dentista del convento, il quale si mostrava pronto a fargli servizio per non parere invidioso. Più in là, dietro l’edificio, nel prato che sembrava fatto a posta, avevano formata una sorta di lizza, e ad un palo pendevano guanti e palle di cuoio di parecchie grandezze, segni di sfida tra i giuocatori dei contorni. Poco discosto, su d’un’impalcatura, all’ombra d’una quercia, i suonatori d’un ballo campestre cominciavano ad accordare gli strumenti. In fondo al prato poi sorgevano le baracche, formate di lenzuola e di frasche; e gli osti stavano a certi fornelletti cuocendo i polli, che le loro fantesche sbuzzavano, pelavano, abbrustiavano, frettolose e tuttavia bestemmiate per pigre. Fra tanta folla, che cresceva ognor più, i frati andavano colle labbra e colle tabacchiere aperte a dar pizzicate e sorrisi: per taluno avevano parolette d’invito a farsi vedere in cucina o in refettorio, e il fortunato era di certo un benefattore campagnuolo; o tale su cui la frateria, aveva messo gli occhi e le speranze.

Rocco fattosi via fino alla porta della chiesa potè entrare e udir la messa. E pagato così il suo debito al Signore, tornò fuori colle mani nelle saccoccie delle brache, tastando le monete avute da Giuliano. Accortosi d’aver fame, tirò il conto delle miglia che gli sarebbe bisognato fare per giungere a Santa G.... e non gli tornando bene al ventre nè alle gambe, s’avviò passo passo ad una baracca.

Ivi, si davano spasso bevendo e chiacchierando parecchi avventori; i quali dopo aver mangiato non facevano segno nè di voler pagare nè d’andarsene. L’oste non osava