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sentirne lo scompiglio dei moti la ritraeva, recandosela alla fronte lavata di sudore. E allora Marta che dal dolore di veder la padrona in quello stato, si sentiva la lingua in fondo alla gola, le veniva accosto:
«E glielo chiegga una volta; — diceva — gli chiegga se vuole vederla morta; chè già da pasqua in qua, mi pare che non cerchi altro!
«Egli... egli vuol morire! vuol tornare a Torino; e di là, me lo dice il cuore, non uscirà più...!»
«Torino! Quanto a questo, noi faremo menare altrove il cavallo da nolo, e la giumenta di casa. Se sarà viso da pigliarsela a piedi da qui a là..., lo vedremo!»
E così com’era, colle maniche rimboccate, uscì, fu nella stalla, tolse a cavezza le due bestie; e spigliata come un palafreniere, le condusse a Rocco, tornato un’ora prima da Santa G..., comandandogli di menarle alla cascina dei padroni, la più discosta dal borgo, di segreto quanto potesse. Il colono obbedì, strologando su questi fatti alla sua maniera.
Marta, si rifece in casa a reggere l’animo della signora, la quale da quel partito della fantesca, pareva aver pigliato un poco di sicurtà. E quando Giuliano, dato un lunghissimo giro, tornò; la trovò quieta, intenta a mettere in tavola le tovaglie di bucato, il vasellame della festa, le boccie, che a vederle appannate al di fuori, si sentiva la freschezza dell’acqua cavata allora. Su per giù era l’ora del desinare.
«Qui non si fa che sedersi a mensa!» diss’egli, che, tornategli le forze, se non di voglia, si sentiva disposto a mangiare per bisogno. E parlando delle biche, dell’aia, e dell’uve che aveva viste copiosissime sui vigneti; faceva cuore a sua madre, che non si lasciasse cogliere dalla malinconia e mangiasse.
Ma a un certo segno, il suo viso parve rannuvolarsi. Appoggiato un gomito sulla mensa, e reggendosi colla mano la guancia, rimase fisso a guardare la tovaglia dinanzi a sè, e moveva le labbra come chi parla con