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agli sposi cantando un inno cavato dalla Cantica di Salomone; e celebrando la beltà e l’amore di Bianca con quelle ardenti parole, facevano far largo alla folla sino alla porta del tempio, perchè il corteo potesse uscire. Quando questo fu sulla soglia, i suoni, le grida, gli applausi proruppero altissimi: e l’Alemanno che si menava al braccio Bianca ormai sua, aveva l’aspetto d’un eroe, che traesse seco, dalla vittoria, il premio invidiato d’una regina prigioniera volonterosa.
La lettiga non era più alla porta della chiesa, perchè gli amici e i convitati del signor Fedele, volendo mostrare l’allegrezza che quel matrimonio spandeva nel borgo, l’avevano fatta portar via; costringendo in questa guisa gli sposi a lasciarsi ammirare. E durante la messa, spacciati fanciulli nei prati e negli orti, e garzoni nei boschi vicini a sfrondar alberi; avevano fatta la fiorita per la via, e parati di fronde i muri delle case, come usava nella festa del Signore. Di che l’aspetto del borgo, pigliava dalla chiesa alla casa del signor Fedele, una sì bella e nuova allegrezza, che l’Alemanno ne fu lietissimo, e all’anima sua parve di inoltrarsi in una primavera, promettitrice di dolcezze infinite. Procedeva a piedi con Bianca allato, calpestando quei fiori, che a lui potevano sembrare emblemi di piaceri passati, a lei di affetti posti in oblio; ed ambedue bisbigliavano parole d’amore, verecondi in vista, fra gli evviva del popolo, e la grave andatura dell’accresciuto corteo: che lasciatosi alle spalle il clamore festoso della turba, rifece alfine le scale del signor Fedele. Ultimi tra i convitati capitarono i preti del borgo, col padre Anacleto, inchinato, lodato, atteso a dare il cenno, pel quale tutti pigliarono il loro posto alla solennità della gola; e se il signor Fedele avesse avuto in mano un turibolo, avrebbe incensato tre volte e quattro lui, che sedutosi in mezzo agli sposi, governò coi cenni e coll’esempio l’olimpico pasto.
Mangino e bevano i bicchieri arrubinati; ma almeno