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ritratte, a quella vista, stizzite; prorompendo in accuse contro sè stesse, e contro i parenti, che non avevano saputo procacciare anche ad esse sì bella sorte! Quanti garzoni si saranno sentiti umiliati, pensando alle loro fidanzate, cui non avrebbero potuto recare tanto fasto; e che forse in quell’ora facevano nel secreto dell’animo, indiscreti raffronti!

Dietro al corteo incalzava la folla popolare e quando la lettiga s’arrestò a piè della scalinata della chiesa, questa fu stipata come fosse la domenica dell’ulivo. L’organo riempiva le volte delle sue armonie; ma per quanto la mano del suonatore si studiasse di trovarle festose, non veniva a capo di cavarne una, che non fosse impressa di malinconia. Perchè sebbene fosse un povero organista, le sue segrete fantasie le aveva anch’egli: e forse non gli pareva giusto, che quella giovinetta si sposasse, per andarsene chi sa in qual terra così lontana, che non sarebbe più mai tornata a udirlo suonare, neanco nella sagra del Santo patrono del borgo.

Al primo passo che mosse dentro la chiesa, Bianca rimase tocca da quei suoni e impallidì per modo, che una delle dame a lei più vicine, le chiese se per avventura la veste le stringesse troppo la vita, e se si sentisse male. La giovane sorrise, senza rispondere; ma quando si vide giunta al banco parato di damaschi rossi, dove s’aveva a inginocchiare, le parve d’aver fatto un grandissimo acquisto, perchè si sentiva venir meno. Si pose ginocchioni coll’Alemanno, che le venne allato; appoggiò i gomiti sui cuscini gallonati, raccolse nelle mani la fronte, e stette ad ascoltare quel suono d’organo, che sembrava avesse a dirle qualcosa. Oh! le ne aveva a dir tante, che nè Giuliano, nè la signora Maddalena, nè don Marco, avrebbero potuto di più. Quelle armonie erano un linguaggio noto ed inatteso, che trovava le vie del suo cuore, meglio d’ogni più dolce, o più acerba parola. Pareva che gli angeli del cielo, ai quali nei primi tempi dell’amor suo per Giuliano, aveva parlato colla fantasia