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snello, alle gambe di ferro del giovane; tornò a casa la marchesa, a dirle che questi era partito come un razzo; e la gentildonna, ringraziò il cielo, e pregò che Dio tenesse la sua santa mano sul capo a Giuliano, per tutta la via.

E in verità il giovane ne aveva bisogno, perchè egli spronava di maniera, che quanti s’imbattevano in lui, fossero a cavallo o a piedi, penavano a scansarsi, e gli davano dietro di basilisco e di peggio. E forse avrà trovato di tali, cui sarebbe piaciuto movergli contesa per quella furia; ma la bellezza del cavallo, dava a pensare all’alto stato del cavaliere; e di quei tempi si avevano in grande reverenza i signori e le loro soperchierie. Fu soltanto in un piccolo borgo, che si udì gridar dietro: «fermatelo! fermatelo!» ma una voce aveva quetato la folla, dicendo che forse egli era una staffetta del Re, e le grida erano cessate. Oh s’egli avesse potuto conoscere colui che con quelle parole l’aveva salvato, se non da altro, dall’essere fermato, indugiato, sì che forse non sarebbe più stato padrone di sè, per correre dove lo chiamavano le ultime voci materne! L’avrebbe ringraziato in ginocchio; avrebbe chiesto perdono a quel popolo d’essere passato fendendo l’aria come una saetta, risicando schiacciargli i bambini; ma con tutto questo non rimise dal correre, e buon per lui, che fattasi notte, potè tirare innanzi senz’altri incontri.

Giunse a B.... a mezza via tra Torino ed Alba, che rompeva l’aurora; e ai coloni che già a quell’ora si avviavano ai campi, chiese del gastaldo della marchesa per mutare il cavallo. Quello che aveva sotto non poteva più reggere. Gli fu additato una sorta di maniero, lontano pochi passi dalla via maestra, dove un uomo stava sulla soglia, quasi avesse saputo di dovervi aspettare qualcuno. Costui era appunto il gastaldo, il quale ravvisando il cavallo, si fece incontro al cavaliero; e mentre guardava con occhio pietoso la povera bestia com’era conciata; udiva da Giuliano che gli aveva