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presa la mano di don Apollinare, e tenendola umilmente e lagrimando diceva:
«No...! signor pievano, abbia compassione d’una povera madre, che non finirà di penare, sinchè non sia morta o impazzita! Mi dica tutto..., mi dica, e che io muoia se è tempo!
«Ecco! — sclamò egli spiegandosi di nuovo: — ecco che cosa le fruttò l’aver taciuto, quando egli mostrava di perdere il timor di Dio! Questa è una lettera, che ho calda calda da un soldato, spacciatomi a bella posta dal generale piemontese, che accampa dalle parti di Ceva, il quale l’ebbe da Torino, per la via di Mondovì: e in essa mi si chiede notizie di un Giuliano da D..., che studia laggiù, che è mio parrocchiano;... insomma si vuol sapere che soggetto è...! e se ne immischia la polizia, la Curia... tutti!»
Così dicendo faceva vedere la lettera, battendola sul dorso della mano sinistra, e aspettando che l’un dei due parlasse. La signora teneva il capo chino, colla mente negli abissi in cui il figliuol suo precipitava; don Marco, guardando il pievano, pareva studiare, come un sacerdote potesse aver cuore, di tormentare così fuor di maniera una donna già troppo infelice.
«Che ne dice, ella che fu suo maestro? — gli chiese alfine don Apollinare, vedendo che non gli si rispondeva nè dall’una nè dall’altro.
«Eh! — rispose don Marco — io dico, che questo miscuglio di monsignori, di polizie e di generali, mi pare una torbida cosa: e mi duole di vedere che noi preti, a quest’ora abbiamo lacerate mezze le pagine del Vangelo! Dia retta a me, faccia in pezzi cotesto foglio, li metta per segnacoli nel suo breviario; e ogni volta che li rivede, rammenti quel dettato che abbiamo sempre in bocca; non muove foglia che Dio non voglia.
«Altro che foglie! — proruppe il pievano — va in aria la intera foresta, e il vento della rivoluzione l’amulinella!