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stanza, doveva capitarle in casa don Apollinare con un’altra consolazione.

Chi fosse stato a vedere costui, scendere di castello, infilare il ponte, passarlo, piegare a manca verso la casa della signora Maddalena; avrebbe creduto che visto andarvi un prete forastiero, corresse a lagnarsi dell’ospitalità chiesta altrove, piuttosto che nel presbiterio. Ma egli veniva per tutt’altro, rosso in viso, e per quel che si capiva dal passo spigliato, con qualcosa nell’animo che lo agitava di molto. Alla fine delle fini il suo giorno era giunto per quel discolo di Giuliano; egli lo sapeva, e s’affrettava a dirlo alla povera madre, a farle dinanzi le grosse esclamazioni; proprio come un uomo tenuto sobrio gran tempo, che appena lo può corre all’odor del forno, con la voglia spasimata d’una buona satolla. Passando sotto quell’arco, vedendo quell’orto, si rammentò di quella tal mattina che Giuliano glie ne aveva dette di così scolpite; attraversò in fretta il piazzale, l’atrio, l’andito; ma all’uscio della sala non istette a picchiare, ed entrò da sè addirittura.

La signora Maddalena manco s’accorgeva di lui, se don Marco andandogli incontro, così per dire qualcosa, non gli chiedeva della sua salute.

«Io sto bene! — rispose il pievano: — ma non così tutti coloro che mi stanno a cuore. Suo figlio, signora, a Torino si finisce di rovinare.

«Che non l’è ancora abbastanza? — proruppe essa levandosi ritta: — ci pigli una volta me e lui! ci mandi schiavi ai Turchi; peggio di qui non istaremo!»

Queste parole, il modo in cui furono dette, la guardatura di don Marco, posero il pievano in gran confusione. Di che ripiegandosi un tratto in sè stesso: «io — disse — io che le ho fatto a lei...? Me ne vado e ognuno s’ingegni...!»

E fece atto d’andarsene; ma don Marco si pose tra l’uscio e lui per rattenerlo; e stava per consigliarli maggior carità, per la signora; senonchè questa aveva già