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sbozzata alla grossa nella furia del creare, e poi condotta a fine con lungo affetto. Di certo le era entrato qualche dolore, che assiduo ma pacato aveva fatto migliore l’opera della natura; e parlava in essa dagli occhi neri e languenti, maestro d’un’anima nata con ali da volar alta, e tenuta in cambio, tutta l’adolescenza, nascosta e costretta come gemma in seno alla roccia.

La signora Maddalena, cui quel mutarsi della fanciulla, dava gran piacimento; stava, come ho detto, con essa in sala: e avendo terminata la sua lezione di lettura, diceva amorosa:

«Non ti puoi immaginare la dolcezza che provo! Prima che l’anno finisca, voglio che tu sappia leggere a modo, e scrivere. Così, se un giorno ti sposerai a qualche buon giovane, ti vorrà più bene. E allora ti ricorderai di me, nevvero?... Adesso provati a imitare questi segni che t’ho fatto in cima al foglio.»

A Tecla, quelle parole suonavano piene di mesti presagi, e insieme di dolci promesse. Si appoggiò al tavolino, e cominciò a menare la penna di pollo d’India, sgorbiando certe lettere che un po’ le riescivano somiglianti a scorpioni, un po’ a girini; e a tratti la penna impuntando come bestia restia, schizzava inchiostro fin sulle dita della signora.

In quella don Marco, giunto sul piazzale, si spolverava un tantino; e attraversato il corto andito, che dall’atrio metteva nella sala terrena, battè all’uscio pianamente, quasi gli fosse piaciuto di non essere inteso. Tecla corse ad aprire spedita.

«O Dio! — sclamò la signora, facendosi bianca come la baverina, che dal collo le si rovesciava sulla veste turchina carica; e movendo incontro al prete, rimasto a quel grido sulla soglia impacciato, gli prese la mano lo guardò fisso, gli lesse negli occhi. A lui la lingua gli andò in fondo alla gola; essa non trovò la forza a dir altro.

Con questa sorta d’accoglienza s’andarono a sedere vi-