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«Oh se noi, — sclamò doloroso Don Marco — se noi ci immischiassimo meno della salute dell’anime; e si pensasse a fare che sulla terra fosse un po’ più di giustizia! Si soffrirebbe meno, e si godrebbe abbastanza; e il fumo del peccato non s’innalzerebbe con quello degli incensi, che noi abbruciamo ogni giorno! Padre Anacleto, abbandoniamo questa casa ambedue, la luce del Signore vi discenderà da sè....»

A questo punto, il signor Fedele tornava con Bianca. L’aveva cercata coll’aiuto di Margherita, ed anche di damigella Maria; e scovertala in quel nascondiglio, erano riusciti a cavarnela più a forza, che colle preghiere. Di che stizzita, vergognosa, aveva dato in ismanie dapprima; poi sbigottita al pensiero dell’Alemanno che poteva udirla, e disperando d’essere lasciata in pace; «che si vuole da me? — aveva sclamato — che chiede Don Marco? Mi cerca? dov’è? io non lo fuggo mica!» E mentre la cieca si sentiva rimpicciolire il cuore, il signor Fedele quasi in punto di battere le mani dall’allegrezza, menava la figlia giù per le scale a quella stanza, dove erano Don Marco e il frate.

Alla vista dei due, Bianca fu quasi colta da capogiro: sentì gli ultimi pensieri di rispetto che aveva pel prete, cozzare coi nuovi postile in mente dal padre Anacleto, e involarsi; appunto come avevano fatto poco prima i colombi alla sua apparizione. E Don Marco, con voce impressa d’affetto pietoso le disse:

«O Bianca; sono venuto a vederti, e tu non mi dici nulla..., che pensi, che fai?...»

Essa chinò gli occhi e rispose:

«Io non ho nulla a dire... faccio quello che il Signore comanda..., obbedisco mio padre....

«Dunque tutto quell’affetto....

«Ho pianto abbastanza; — interruppe Bianca — e non voglio peccare, pur col rammentare il passato...»

Don Marco rimase come uomo che acciechi improvvisamente. Aperse le braccia, guardò in alto, e senza più