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«Ma... no... — disse il barone pigliando la mano di lui per rattenerlo; — sono venuto a cavallo sin qua.... ma se mi concedesse di guarirmi in casa a questo buon prete.....

«Storie! Non parliamone più....»

Il signor Fedele chiamò Don Marco; il ferito levatosi in piedi ringraziò dell’ospitalità avuta, e il prete mesto e quasi umiliato stette, a vederli discendere, in capo alla scala. Poi quando furono fuori, tornò nella sua camera e sclamò: «È finita, Giuliano! Bianca sarà sua!» Sedè, si pose gomitoni sul tavolino, chinò il capo e pianse.

Intanto gli altri s’avviavano lentamente alla villa, dove il padre Anacleto stava colle donne, stringendo i panni addosso alla povera Bianca. Egli s’era affacciato forse la quinta volta, a vedere se il signor Fedele tornasse; quando lungi un trar di schioppo apparve la comitiva, tra le siepi di bianco spino, che facevano riparo ai campi, dove il grano vegeto di molto, mosso da un’aura dolce di primavera, ondeggiava come quei laghetti che sovente incontra di vedere, a chi cammina sulle Alpi.

Il frate chiamò alla finestra Bianca, la quale fu sollecita a correre; e additandole da quella parte, le disse: «Parlavamo testè della castellana e del cavaliero ferito in Palestina: chi ci avrebbe detto che uno ve n’era tra via, cui manca una madre, una sorella, una consolatrice; e fu ferito per nostra difesa...?»

A queste parole Margherita discese sull’aia; la zia cieca fece atto di levarsi da sedere; ma ripigliato il suo posto, annuvolò come chi ha ombra di qualche cosa.

Bianca s’era sentita a prima giunta, rappiporire la vita; poi in quelle cose che aveva intese, e in queste altre che vedeva pur allora, le parve che qualcosa di miracoloso ci fosse. Padre Anacleto, da uomo avvisato molto, le bisbigliò che bisognava fare, come la castellana, buon viso a chi soffriva; perchè la carità era la