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nel castello un gran torneo; e i banchetti e i festini non ve li so dire; tutto in onore della sposa e del cavaliero valoroso e pio. La storia non dice che S. Francesco fosse al convito; già noi poveri frati facciamo il bene, poi ci tiriamo in disparte: dunque il santo non vi sarà stato. Vi piace?»

Damigella Maria accennò col capo; ma il frate che non aveva raccontato per lei, non le badò. Gli pareva d’aver trovato così bene il filo di cui aveva mestieri: Bianca s’era fatta ascoltando, sto per dire, così trasparente; egli aveva potuto leggerle così chiari in viso, i confronti che essa faceva di sè con quella castellana favolosa, e la sua secreta e mesta compiacenza in tanta somiglianza di casi: che lietissimo dell’opera propria, neanco s’accorse di Margherita, la quale insaziabile lo pregava a tirare innanzi, come se il racconto non fosse flnito.

«Dio mi ha proprio ispirato! — pensava, — chi avrebbe potuto disporla meglio? Essa non ha più bisogno che d’un tratto; e se Fedele mena quaggiù il barone, la cosa è fatta!»

E il barone giaceva in casa a Don Marco, il quale nell’ufficio pietoso di quella mattinata, s’era imbattuto in lui fra i feriti. Pensando al gran bene che avrebbe potuto fare, avendolo in casa; il buon prete gli aveva profferta l’ospitalità, ed egli non s’era fatto pregare, perchè sapeva come Don Marco stesse di casa vicino a Bianca. Stupito di non vedere il signor Fedele, non aveva osato chiederne; ma l’andarsi a porre discosto due passi da lui, gli pareva la miglior ventura che gli potesse incontrare. Il prete, dal canto suo, era contento, perchè sperava di pigliare dimestichezza con quel soldato; cagione di tanti dolori a Bianca, alla signora Maddalena, e chi sa di quali guai a Giuliano: il quale viveva lungi, accarezzando vane speranze, come colui che innaffia una pianta morta, ingannato dalle poche foglie di cui verdeggierà ancora per breve tempo.