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«Andiamo alla volta d’Oneglia — rispose l’Alemanno mestamente.

«Maledetti i Francesi! — sclamò il signor Fedele; ma l’altro interrompendolo:

«No.... maledetti, no....: il generale ricevette l’ordine d’andar là, stanotte....; torneremo.... ma...., Bianca.... se mai, le dica che io parto, lasciandomi il cuore addietro, ma che appena potrò.... Chi sa....? su quei monti....» E si volse a guardare dalla banda della marina.

Il sole illuminava le vette di San Giacomo e del Settepani, i quali giganteggiavano lasciando che per l’aria limpida del mattino, l’occhio penetrasse nelle loro selve, e scoprisse le vie alpestri, che gli Alemanni avevano a salire.

Le parole del barone erano state dette con tanta mestizia che facevano contrasto meraviglioso colla sicurtà dell’ardire che gli si vedeva in tutta la persona. Ma il signor Fedele volle confortarlo, e chi sa che sciocchezze stesse per dirgli; quando s’udì venire una cavalleria, e le trombe suonarono, e gli uffiziali corsero ciascuno alla sua schiera: sicchè il barone affrettatosi a dare l’ultima stretta di mano al suocero futuro; fu al suo cavallo, raccolse le briglie, e montò in sella leggiadro in vista, ma col lutto nel cuore.

Alla voci dei capitani, rispose un moto e un rumore d’armi, poscia silenzio. Il generale veniva in mezzo a parecchi cavalieri, e il popolo faceva largo dinanzi a lui. Fu cosa di pochi momenti; un andare, un tornare, un parlarsi sommesso da questi a quello, un gridar alto alla moltitudine d’armati; tutto con quell’aria di mistero che usano le gerarchie sacerdotali e militari, quando parate fanno mostra di sè. Indi a poco a poco si spiccò la squadra d’ulani condotta dal barone, e presero la via verso mezzogiorno a mò di scorgitori; e dietro i fanti, e dopo questi le artiglierie, portate a dorso di muli; da ultimo salmerie, monelli e cani, tutti misurando l’andatura al suono guerriero di pifferi e di tamburi.