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«Come? il padrone a quest’ora? che fatto è? perdoni, chiamo i figliuoli....
«No no..., sta cheto, vogliamo far domani un po’ d’allegria, e veniamo sin d’ora...; non abbiamo mestieri di nulla, salvo d’un po’ di lume, che tu m’aiuterai ad accendere, e poi tornerai alla tua guardia.... Avanti figliuolo, che la guazza fa male...»
Entrati nella palazzina, e acceso il lume, il colono se ne tornò a’ fatti suoi, un po’ maravigliato dell’aspetto delle signore che parevano venute a un mortorio: e il signor Fedele senza far ad esse parola, le mandò a dormire, Poi s’appartò taciturno, s’allungò in sul letto, s’affagottò tra le lenzuola; e là si mise a pensare come avrebbe trovato modo di indur Bianca alle buone, a quel matrimonio. Interrogava per sè, e rispondeva per lei, da principio esortando, poi minacciando. Essa sempre ferma; egli allora a fingersi ammalato dal dolore. Invano. Bisognava rivolgersi ai castighi, e si pose a cercarne: e fu buona cosa che presto s’addormentasse, perchè pensando, chi sa che inferno avrebbe immaginato ai danni di quella infelice.
Non andò guari, che mentre egli giaceva russando forte, e le tre donne vegliavano parlando basso tra loro; un suono mestissimo di campana, venne per la solitudine dell’aria, come voce che dicesse al cielo, o ai morti, o a non so che altro misterioso che esiste: «qualcuno veglia a quest’ora sopra la terra!»
Era la campana del convento dei Minori di San Francesco, che sorgeva poco discosto. A quei tocchi Bianca alzò il capo, e porse ascolto con tanto desiderio, che più non avrebbe fatto, se fossero state voci della madre sua, morta. E poi volgendosi alla zia, nel buio della stanza: «Oh! — disse — e noi non ci avevamo pensato! Zia, se mi facessi monaca?
«Preghiamo — rispose la cieca — i frati s’alzano a quest’ora per discendere in chiesa a pregare....»
Margherita piangeva. Tacquero, rimasero deste un al-