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che ci accolse compassionandoci con atti e voci da madre, cuoce un po’ di maccheroni per noi, sfiniti dalla fame.

Ieri, sino a sera, un tempo di Dio, bello e tranquillo: ma quando ripigliammo le armi, il cielo parve corrucciarsi. Il sole era tramontato. Si partì. — Almeno questa volta si andrà davvero a Palermo! — No, si va a San Giuseppe. — E dov’è San Giuseppe? — Qui a destra, oltre i monti parecchie miglia.

Fatti pochi passi per la strada militare, si arrivò ad una casetta solitaria, scura, mezzo ruinata, casa da ladri. Là ci si faceva uscir dalla strada, a misura che si arrivava, e infilavamo un sentiero angusto e sassoso. Dinanzi alla casetta, due uomini si sbracciavano a cavar pani da grossi cestoni, e ne davano tre a ciascuno di noi che passava. Era come a ricevere tre punte nel cuore. Dunque dovremo camminare i monti deserti per tre giorni? E questi pani come portarli? Inastammo le baionette, e gli infilzammo l’uno sull’altro. Lo schioppo, così equilibrato, rompeva le spalle.

In quel momento, mi toccò il dolore di vedere Delucchi da Genova seduto su d’una pietra, abbracciandosi le ginocchia, tormentato da un malore che gli toglieva le forze. «Torna indietro ai nostri carri, gli dissi, in qualche luogo ti meneranno. Che vuoi fare qui? Noi non ti si può portare: fra